Il Margutta
Con l’allucinante, scorticato, combusto fantasma implorante l’aiuto nella solitudine dell’autostrada dove la corsa delle auto si dissolve in macchie e il moto diventa sempre più accelerato, Mulas sigla la propria rabbia che non è pessimistica, ma di vigile acquisizione di una condizione.
Diciamolo: ogni scelta ha la sua determinazione e, riprendendo il discorso sul pop, essendo obbligati alla citazione perché indicativa di una esemplare situazione artistica, possiamo affermare che lo sguardo di Mulas è incisivamente posto su ogni avvenimento che si definisce caratterizzante del nostro tempo. È forse per questo che Franco Solmi nell’introdurre l’ultima mostra di Mulas alla “Nuova Pesa” di Roma, può affermare che l’artista “gioca con tanta freddezza e acidità sul presente da farcelo scoprire paurosamente deserto d’abbellimenti armonici, di fantasie sentimentali”.
In questo presente forse manca l’ovvietà della promessa – ma sono offerti gli elementi per un giudizio i cui materiali passano per i punti forza della costruzione della storia. Non che si sia sensibili agli avvenirismi storiografici, ma dal momento che ancora l’arte è merce e, quindi, oggetto di consumo, dal momento che le autocontestazioni non hanno impedito di accettare i canali della distribuzione, perché si possa credere ancora nell’incidenza dell’arte, abbiano bisogno di invocare i tempi lunghi. Per parte sua, Mulas ha scelto e persegue il suo fine con una incidenza di dettato coerente agli avvenimenti dei quali “vuole” essere testimone. I suoi uomini del weekend si sono rivestiti per tornare ad agire dentro la città, ma il ritorno svela un altro uomo che da qualunque parte si trovi a correre, è vittima di una situazione differente dai programmi e dagli schemi in cui il “progresso” sembrava avviarla. La oggettività si è trasferita nei fatti, negli avvenimenti. I soldati che, avviluppati nella tenuta da campagna, eseguono un ordine e operano per ragioni a loro ignote, si muovono guardinghi, non sappiamo se irritati o impauriti in una continua mimica offensiva-difensiva. Dall’altra parte, due giovani percorrono gli immensi spazi luminosi come in un gioco pericoloso. Tra i due gruppi non c’è comunicazione (quando l’impatto avviene, questo si presenta nelle forme brutali raffigurate nella cartolina da Detroit); ma c’è un elemento che cuce gli avvenimenti: la scena urbana. Sono i muri di Parigi sui quali vengono fissati i simboli significativi degli avvenimenti e sui quali venne consumata una sterminata carica di energia estetica che, nella immediatezza comunicativa del manifesto, sancì il trionfo della contingenza, del provvisorio.
Non è questo presente che interessa Mulas, ma un presente dalla incidenza culturale. Lo spazio urbano non è recepito in una metafisicità astorica, in una estraniazione surrealista, ma è datato e allusivo. La casualità dell’incidente aneddotico si svolge sulla scenografia di scalinate celebrative dei fasti di una borghesia casalinga e gelosa dei privilegi culturali. Il decoro del travertino e l’impianto di Valle Giulia sono come violati da fatti di portata mondiale e per la necessità di sopportare la immensità degli avvenimenti, si dilatano come sotto l’effetto di un ingrandimento, svelando la corrosione e la tenuità materica. È un senso di provvisorietà che emana da questi luoghi dai colori impastati come quelli adoperati per rendere le illusioni ottiche dei fondali di un vecchio e viscerale teatro. Dalle balaustre corrose emergono ancora i segni gessosi della statuaria celebrativa ma se ci diamo la pena di farne il giro, cogliamo le “grandi ombre del passato” esposte all’insulto del tempo. Un tempo iconoclasta che non si cura del rotolìo delle bronzee teste leonine, retorico e grossolano simbolo di potere.
Certo l’immaginazione negli indimenticabili tardi anni sessanta non prese il potere, ma forse non lo ha potuto perché in quella postulazione c’è una velleità di prassi alternativa che la lontana ascendenza bretoniana non contemplava, preoccupata delle fisime estetiche. E qui il discorso dovrebbe essere portato sul destino della contestazione, ma non è questa la sede anche se l’argomento è pertinente. A noi basta dire e sapere che l’immaginazione di Franco Mulas con i mezzi specifici della pittura ci aiuta a comprendere i meccanismi del potere e non soltanto quelli.
Luciano Marziano, 1970