Presentazione della personale alla Galleria “Forni” di Bologna
Ancora una volta nelle opere di Mulas si celebra la sconfitta dell’uomo del presente, senza pietà alcuna, e si ripetono quegli insopportabili equilibri in cui l’artista – come già ebbi a scrivere con una frase che posso qui letteralmente ripetere – scarica la sua critica demolitrice, raggiungendo vertici d’incredibile ferocia immaginativa. Si veda, per esempio, come il giovane pittore operi secondo il suo tipico schema di rovesciamento della realtà, fino a cogliere momenti d’assurdo tale nel racconto del presente da gettarlo nella regione della metafisica più incredibile. La polemica con le leviganti fatture dell’iperrealismo è scoperta, e se non vi fosse tanta cattiveria in quel suo sostituire il fantasma al “vero” (ecco i personaggi “reali” che divengono ombre di simboli) e il “vero” al fantasma (quell’incredibile essere vivente che trova una collocazione accettabile solo come opera d’arte), se non vi fosse, dicevo, tanta crudeltà, si potrebbe pensare allo svolgersi d’una raffinatissima ironia, magari qua e là tinta di carne e di sangue. Io non credo che a stravolgimenti simili sia mai giunto qualche artista moderno, né in Europa né in America, né che qualcuno abbia neppure intuito la possibilità di poter operare così radicale rovesciamento di valori e di simbologie operando sul piano di una assoluta (e tuttavia inaccettata) banalità dell’immagine quotidiana, senza divagazioni avventurose nei meandri dell’inconscio o del surreale. Può darsi che queste mie affermazioni possano sembrare eccessivamente definitorie, specie se rapportate al lavoro di un giovane. Resta il fatto che Franco Mulas è, fra coloro che operano nell’ambito di una poetica dell’immagine, forse il personaggio più capace di suggerire alternative di linguaggio ed ipotesi nuove di lavoro estetico, e ciò con una immediatezza e con una vivacità che trovano difficilmente riscontro in pittori di più lunga storia e, magari, dediti ad approfondimenti che richiedono tempi di lunga meditazione. Voglio dire che la caratteristica di Mulas è proprio quella di affrontare, con scarti improvvisi e con altrettanto improvvisa maturazione d’immagine, le vie dell’inedito, giungendo a soluzioni espressive che lasciano il segno e che agiscono con grande forza di suggestione nel quadro della ricerca d’oggi. La fortuna critica che ha accompagnato fin dagli inizi il suo lavoro e il largo seguito che i suoi modi espressivi e stilistici hanno fra gli artisti della sua generazione ne fanno un punto di riferimento quasi obbligato per quanti intendono avvicinarsi con qualche serietà ai problemi attuali dell’immagine. Ecco perché anche questa mostra, in cui sono presenti alcune opere ove si trovano riflessi gli approdi della sua pittura ultimissima, segnerà a mio avviso un punto fermo nella vicenda non solo di Franco Mulas, artista apertissimo alla molteplicità delle problematiche, ma anche capace di raccogliere in opere di ferma costruzione il senso di attualità processuale che è all’origine del suo lavoro. Pittore aperto, quindi, capace insieme di descrivere e di cancellare il peso di realtà che incombe (e come potrebbe non incombere?) anche nelle sue opere, raggiungendo quell’ordine disordinante in cui gli “oggetti” del suo discorso – figure, ambienti, personaggi variamente avvertiti – vivono la loro negazione e, contemporaneamente, la loro positività. Si veda, ad esempio, come Mulas non tema di affrontare le più viete simbologie quando ci restituisce la banalità dei suoi “osservanti” e come, nel contempo, rasenti perfino il verismo – senza che di questo resti incancellabile peso – quando dipinge l’immagine vero-falsa dell’uomo oggettivato nella scultura iperrealista: plastica che si fa carne, da un lato, e carne che si fa plastica dall’altro. Ma il discorso non è solo di materia, ovviamente. Esso tocca fibre più segrete ed inquietanti, porta a mediazioni in atto fra mondi senza comunicazione, anche se, fortunatamente, non pretende di risolvere i problemi dell’incomunicabilità, che restano aperti e sospesi su di noi come una condanna senza possibili speranze. Ed è proprio nella mancanza di speranza, nella impossibilità di una alternativa (che potrebbe darsi solo nella comunicazione, desiderio assente fra le cose e i personaggi dei quadri di Mulas) che in questo artista si riflette l’angoscia dell’oggi, tutt’altro che placata per via d’arte
Franco Solmi, 1972