“La Voce Repubblicana”
Franco Solmi, a conclusione della presentazione dettata al catalogo di una personale di Franco Mulas a “La Nuova Pesa” (nel 1969) scriveva: “Il presente senza storia di Mulas sarà sconvolto dal primo gesto rivolto al futuro, un qualsiasi gesto di vita che porti il segno dell’uomo di cui quest’artista ci narra l’inaccettabile assenza”. Ebbene, dinanzi a queste opere che Mulas ci propone oggi, nella stessa Galleria la nostra impressione è che non si sia ancora verificato nell’artista il momento magico della scoperta del “gesto rivolto al futuro”.
Questa umanità grigia che si trascina stancamente sui sedili di un autobus immaginario, in un viaggio altrettanto immaginario nel momento stesso in cui “immaginario” non vorrebbe essere, viene immediatamente travolta dalla glacialità della “posa”. Ed il ricordo, prima fotografico poi pittorico (perché l’album da disegno di Franco Mulas è la macchina fotografica), sente i tempi di una lunga decantazione che nel corso della trascrizione espositiva perde quella carica emotiva, che, al limite, avrebbe potuto giustificare la scoperta dell’immagine stessa. Il problema di identità al centro di una ambientazione urbana, diventa il problema del pittore ed il suo tormento, consapevole come egli è di non riuscire a risolversi fuori dalla categoria. Da qui l’esasperazione della visione proposta in tensione e raffreddata, subito dopo, dall’inesistenza dell’intervento pittorico.
È un mondo di ombre mascherato dai riferimenti a personaggi possibili, questo che Mulas ci propone: al centro l’artista, ombra tra le ombre, nel momento stesso in cui ne drammatizza i tratti ed il faticoso processo di identità.
Ieri Mulas suggeriva l’antinomia: fantasia-potere; oggi Mulas suggerisce il contrasto: immagine-oggettività. Ma l’uomo è immagine in quanto appare: scriveva Arcangeli. Ecco, questa è l’affermazione sulla quale riteniamo che Mulas possa e debba centrare le sue riflessioni (ne ha i mezzi). Un’immagine, cioè, potenzialmente itinerante e, quindi, mutevole (in grado di opporsi, per processi reattivi e coscienza critica, alle cosiddette fatalità).
Vito Apuleo, 1975