“L’Unità”, dicembre 1969
Per potenza immaginativa e figurativa le pitture di Franco Mulas (galleria “La nuova pesa”) sono le più tipiche e poetiche viste a Roma quest’anno di quella nuova tendenzialità oggettiva, sociale e politica che oggi fa l’originalità, e forse l’avvenire, della ricerca plastica dei giovani italiani in un momento di ricca circolazione europea di idee, di esperienze e di opere d’avanguardia.
Il clima storico e culturale di questi quadri è lo stesso clima di Parigi tra il “Salon de la jeune peinture 1967” e il Maggio; clima europeo che ha visto nascere Non consumiamo Marx di Nono, La zattera della Medusa di Henze, Giornale murale di Guttuso, Parricidio di Ipousteguy, Galileo Galilei semper di Vacchi e i quadri politici di Matta e di Cremonini.
I quadri più recenti qui esposti formano una serie organica con quelli sul Maggio e generalizzano a un superiore livello pittorico emblematico la visione poetica dei conflitti di classe nelle metropoli d’Occidente (Muro d’Europa, Occidente, Scalinata sul Mediterraneo, Le pietre d’Europa, Fuga dall’Occidente, e Dialogo sul potere), Si tratta di pitture che, in antitesi e in alternativa al mito americano e americanista degli oggetti e dei consumi propagandato dalla pittura “pop” della città, danno una fredda immagine antimitica dei conflitti di classe e segnano, senza mezzi termini culturali e con tutto il rischio che l’operazione poetica comporta, l’esaurimento di quel periodo fertile ma ambiguo di pittura che va, in Italia, sotto il nome di “Nuova figurazione”.
Il risultato pittorico è un tipo di immagine fredda e istantanea capace di liberare durabilmente tutti i ricchi significati di cui può strutturarla quel “senso umano” di un uomo dai bisogni umani molto ricchi di cui scrisse Marx.
Un’arte, insomma, quella di Mulas, che nega la tradizionale consolazione della “promessa”, che testimonia del rifiuto di un possibile domani a questo oggi inchiodato alla sua immagine di violenza.
Il filo pittorico narrativo nel quadro è certo quello gestuale della violenza di classe, ma alla fine l’organizzazione di tutto il materiale visivo tocca una complessità e una ricchezza poetica non più spiegabili con la sola forma pittorica di quella gestualità. Mi occorre un esempio per spiegarmi: penso alla Flagellazione di Urbino di Piero della Francesca: il motivo plastico primario è certo quello tragico gestuale della flagellazione; ma, su questo motivo, la visione lievita e cresce sullo scivolo meridiano infallibile della luce che rivela una sublime concretezza e certezza delle cose del mondo, tale che il Cristo stesso più non sente violenza e dolore e si incanta alla luce, all’immensità, alla chiarità delle cose tutte. Sicché lo spazio del mondo appare indifferente al dramma umano, e la solitudine e lo strazio umano più si avvertono ma in questo stesso spazio lo sguardo umano dell’uomo trova appagamento, esaltazione di vita ed espansione vitale.
Può forse, questa mia osservazione aiutare a capire ciò che il Mulas ha visto nei conflitti di classe da lui figurati con tanta chiarezza allucinatoria e con così intricato gioco plastico tra concretezza minerale degli oggetti e apparizione visionaria e surreale dell’immagine nel suo insieme. La costruzione tanto luminosa di questi quadri non è soltanto una chiarezza fatta dal punto di vista del momento politico, pure prioritario: è chiarezza nelle condizioni più ostili all’uomo e alla poesia, fatta dal senso umano marxisticamente inteso, nella sua pienezza e complessità, sensibili. La costruzione luminosa è il tentativo umano e poetico di una espansione vitale nello spazio e la premonizione che, quando mai uscisse l’uomo storico e rivoluzionario, da questo spazio luminoso e immenso, lo spazio dell’esperienza umana non sarebbe più misurabile dallo sguardo.
Dario Micacchi, 1969