Il Corriere della Sera
Un linguaggio estremamente esplicito, preciso, tagliente. Se parla di un prato, cita ad uno ad uno i fili d’erba. Se parla di una pietra, ne ricorda ogni ruga, scabrosità, fessura. Di una abilità, che a prima vista sembra fin eccessiva perché viene il dubbio di astute scorciatoie tecniche come l’uso di adeguati tamponi (vedi il primo Max Ernst), mentre invece tutto è dipinto col pennello, foglia per foglia, stelo per stelo, piegolina per piegolina. In quanto a tematica, Mulas (1938, Roma) è conformista di stretta osservanza, come la maggioranza dei nostri neofigurativi. È contestatore cioè (gli incubi della società dei consumi, specialmente i folli esodi di macchine per il week-end che impestano l’immensità del paesaggio, più recentemente la violenza, la repressione, il maggio di Parigi, eccetera) tuttavia senza odio, né fanatismo; da cronista distaccato che apprezza l’interesse estetico di certi contrasti: le angosciose greggi di automobili, per esempio, dilaganti nella campagna vergine, oppure gli spettri armati della polizia, gli spettri dolenti dei perseguitati, nell’olimpica serenità di marmoree arene vigilate da statue impassibili. Ha per fratelli maggiori Jardiel e Recalcati; per zio, o nonno, Bacon (quante migliaia di suoi nipotini sono sparsi per il mondo?). Ma ormai ha lasciato i parenti e vive da sé.
Dino Buzzati, 1970