“Credito Cooperativo”
La pittura di Mulas si determina e si sviluppa tutta all’interno dell’ambiente urbano, sociale e artistico di Roma. La stessa necessità di viaggiare, tipica di ogni artista, Mulas confessa di averla realizzata all’interno della città. Mi dice: “Sono stato un po’ come Salgari, che aveva viaggiato l’India in largo e in lungo senza muoversi dalla sua scrivania, anche se la mia India è stata sempre a tre passi dalla mia casa studio, e posso viverla facendo il turista a Roma senza fatica”. Lo studio di Mulas è in via Flaminia, quasi contiguo a piazza del Popolo.
Mulas ricorda che l’anno in cui fu invitato a partecipare a una mostra su Roma, col suo motorino raggiunse i Fori, e si ritrovò come uno appena sbarcato da un viaggio interminabile: un viaggio nel tempo che lo aveva guidato attraverso tutte le civiltà stratificate nei secoli e nei millenni della Roma pagana, cristiana, industriale. Quel giorno il pittore, affascinato da queste rovine, capi che Roma avrebbe rappresentato il tema centrale della sua pittura forse per sempre. Nacquero i grandi quadri in cui Roma si rivela attraverso il realismo fantastico di Mulas, folgorata dalla sua stessa luce d’oro. L’oro delle accensioni solari e il verde dei bronzi divorati dal tempo resteranno da allora i suoi colori fondamentali. Gli stessi quadri recentissimi, in cui le immagini sono così violentemente determinate che sembrano scavalcare la cornice, rappresentano l’essenza di queste stratificazioni.
Roma è ormai tanto parte di lui che Mulas ne accetta perfino la discussa attualità. “Il mare di latta, questo traffico caotico e fragoroso” dice il pittore, “mi fa scoprire e apprezzare certe isole che a Roma ci sono. Una volta che ascoltai la radio annunciare “Traffico bloccato e caos al Muro Torto” lasciai di dipingere, presi la bicicletta e corsi a vedere le automobili che sconfinavano fra le aiole di Villa Borghese in cerca di sbocchi. Devo confessare che per me quello fu uno spettacolo terrorizzante, ma al tempo stesso affascinante. Il fatto straordinario è che tutto questo mi spinge alla ricerca di quelle tracce delle civiltà sepolte di cui Roma sovrabbonda, di questa corrosione dei manufatti umani; di questa battaglia tra la natura e le cose dell’uomo che infuria tra i ruderi del Palatino, i Fori, le tombe dell’Appia o il Monte dei Cocci”. Da questa osmosi perfetta fra Roma e l’artista affiora tuttavia un segno della sua origine sarda: un raro riserbo; quest’orgoglio insopprimibile che è civile fierezza. Quando ho chiesto a Mulas, lui così aperto alle suggestioni del metafisico, se avesse mai avvicinato De Chirico, il pittore mi ha risposto “No, ma una volta, mentre scendevo dalla scalinata di Trinità dei Monti, vidi De Chirico farmi cenno. Mi avvicinai, e lui mi disse “Giovanotto, mi aiuterebbe a attraversare la strada e arrivare al caffè Greco?”. Lo presi sottobraccio, e fare quel tratto di strada con lui, credimi, fu un piacere infinito” Ma alla domanda: “Gli hai detto che eri un pittore?”, Mulas ha risposto “No davvero”,
Iolena Baldini, 1989