“Il Secolo d’Italia”
…Mulas è antidogmatico e procede, per tanti versi, controcorrente. Propone una sua pienezza di sensazioni, di pensieri, di interni ardori, di invenzioni stregate che fanno proprio a meno di qualsiasi diagramma codificato. Ma, a ben guardare, questi suoi solitari fantasmi – cascate d’acqua, montagne, volumi antropomorfi, vascelli da sortilegio, isole di salvezza (radici di un improbabile iperuranio o le “vie d’uscita” di Relazione all’Accademia di Kafka?) – sono tutti relitti di un pauroso naufragio. Questo mondo, saturo di vibrazioni quasi tattili, è sognato e disperatamente reale insieme: Mulas non gioca a rimpiattino con le creature brucianti della sua immaginazione; e nemmeno certi momenti di raccontata magia o certi sottintesi accattivanti, nemmeno certe repentine accensioni di luce in un universo sconvolto dal miracolo negativo possono far dimenticare l’urgenza dell’allusività esistenziale.
Qui non ci troviamo, con Mulas, nella mitografia pura, ma sulla piattaforma di uno stupore ambiguo e penetrante; e se il Surrealismo volle fare piazza pulita, col Manifesto di Breton del 1924, della concezione razionale del mondo, non c’è dubbio che le tessere del mosaico rutilante di Mulas, non mai spente dalla sorda certezza della tragedia, fanno ancora i conti con la vita. E vorrei aggiungere che fanno i conti, ancor prima, con le buone regole della pittura dipinta.
Perciò egli non si sognerebbe di fare eco ad Aragon, chiamando “vecchio istrione” Cézanne. Questa sua pittura, restituita all’innocenza dell’invenzione, come dire alla poesia senza tempo, dopo le fortissime tentazioni (negli ultimi anni Sessanta) dell’epica socialitaria, è in definitiva creditrice di se stessa soprattutto per quanto attiene ai modi formali e stilistici. Come è misurato, agli occhi di chi sappia guardare senza pregiudiziali, il flusso delle affezioni – nel senso che anche il grido di rivolta finisce col trovare uno spazio lirico, e l’ansia implacabile si fa allora fuga sognata – cosi il puntiglio professionale riesce ad evitare le ridondanze di scrittura, le preziosità additive, gli interventi alchemici e troppo mediati, per comporsi una esemplare armonia. Quadri come La montagna di pietra, L’isola n. 2, Dall’interno, Il giorno e la notte e molti altri danno piena l’idea della castigatezza delle scelte linguistiche.
Ora, è chiaro, non avrebbe corpo e rilevanza una così rara messa a fuoco di tutte le energie del magistero se esse non fossero riferibili non ad un teorema, ma alla sostanza di un patema primario e inderogabile: Mulas infatti ha sempre avvertito con intensità autentica, vivendo piuttosto dal di dentro le problematiche del proprio tempo. Ma intendo dire che egli è essenzialmente artista e di tale condizione ha testimoniato, in parallelo con l’implicazione umana e civile, la responsabilità culturale ed artigiana.
Il suo mestiere lo coinvolge non meno degli impulsi ideali, della capacità di turbamento e di sogno; e le due cose finiscono col collegarsi in così stretta simbiosi che si perviene alla esclusione completa di ogni “a priori”, appagandoci del possesso edonistico del dipinto. Che poi questi ci scuotano profondamente con la loro carica misteriosa, aprendo solitudini non ancora esplorate o la memoria di una consustanzialità metafisica, ecco, questo è il segno tangibile della loro completezza estetica.
Renato Civello, 1985